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Lo “studio system” era il metodo di produzione e
distribuzione cinematografica dominante a Hollywood dai primi anni Venti
fino agli anni Cinquanta del
Ventesimo Secolo. Il termine “studio system” si riferisce in primo luogo
alla pratica delle grandi case cinematografiche di produrre
lungometraggi principalmente nei propri studios e backlot con personale
creativo, spesso sotto contratto a lungo termine, e in secondo luogo a
perseguire l’integrazione verticale dell’intero ciclo produttivo
attraverso la proprietà o il controllo effettivo sia dei distributori
che delle catene di sale cinematografiche, oltretutto garantendosi
ulteriormente i margini di profitto attraverso tecniche di promozione
indirizzate al più vasto pubblico. Nel 1948 una sentenza della Corte
Suprema contro il monopolio della distribuzione e dell’esercizio delle
sale cinematografiche (Antitrust) ha accelerato la fine dello studio
system. Nel 1954 l’ultimo dei legami operativi fra uno studio importante
e la sua catena di sale cinematografiche veniva definitivamente spezzato
e l’era della studio system si concludeva ufficialmente.
Il periodo che va dall’introduzione del cinema
parlato fino alla sentenza della Corte con l’inizio della disgregazione
degli studios – 1927/29-1948/49 – è comunemente noto come l’epoca d’oro
di Hollywood.
Durante l’epoca d’oro,
furono le otto società comunemente note come gli
studios a promulgare lo studio system hollywoodiano.
Fra queste otto, cinque erano totalmente conglomerati integrati (i
famosi “Big Five”),
combinando la proprietà di uno studio di produzione, una divisione
distributiva e una sostanziale catena di sale cinematografiche,
contrattando autonomamente con i cineasti e il personale creativo:
Fox Film Corporation (più tardi Twentieth Century-Fox),
Loew’s Incorporated (proprietaria del più vasto circuito di sale e
casa madre della Metro-Goldwyn-Mayer), Paramount Pictures,
RKO-Radio Pictures e Warner Bros. Pictures. Due majors –
Universal Pictures e Columbia Pictures – erano organizzate
similmente alle “Big Five” ma non arrivarono mai a possedere un circuito
di sale cinematografiche di pari livello. L’ottava major (e terza fra i
“Little Three”
insieme a Universal e Columbia), la United Artists,
possedeva solo alcuni teatri e aveva accesso a due impianti di
produzione di proprietà di alcuni membri del suo gruppo ma essa ha
funzionato soprattutto come finanziatrice di film realizzati dai
produttori indipendenti e distribuendo i loro film sul mercato. |
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Il biennio 1927-28 è generalmente
considerato come l’inizio dell’epoca d’oro di Hollywood coincidendo con
le fasi finali più importanti mirate alla creazione del controllo
dell’industria cinematografica americana attraverso lo studio system. Il
successo de “Il cantante di jazz” (The Jazz Singer”, 1927), il primo
lungometraggio “talkie” – parlato (anche se, in realtà, la maggior parte
delle sue scene non furono registrate in presa diretta), diede una forte
spinta alla Warner Bros., allora una casa cinematografica di
medie dimensioni. L’anno successivo vide sia l’introduzione generale del
sonoro in tutta l’industria e due grandi risultati per la Warner, ovvero
“Il cantante pazzo” (“The Singing Fool” 1927), seguito ancora più
redditizio de “Il cantante di jazz”, e il primo film “all-talking” di
Hollywood, “Lights of New York”, così come significativi sono stati i
numerosi sviluppi tecnici conseguiti nel frattempo dagli studios del
cinema. La Warner Bros., spinta dal successo dei primi “talkies”,
acquistò la grande catena di cinematografi Stanley nel settembre
del 1928. Un mese dopo, rilevò la partecipazione azionaria di controllo
della compagnia di produzione First National, uno studio di fama
superiore alla Warner fino a poco tempo prima dell’acquisizione.
Con l’acquisto della First National, la casa di produzione dei
quattro fratelli Warner si aggiudicò non solo lo studio da 135 acri con
gli impianti per le riprese in interni e i backlot per gli esterni ma
anche una vasta catena di sale cinematografiche. In sostanza, i Warner
misero a segno il colpo vincente al momento giusto.
Tra i “Big Five”, l’ultimo dei
conglomerati dell’epoca d’oro di Hollywood emerse nel 1928: RKO-Radio.
La Radio Corporation of America (RCA), guidata da David Sarnoff,
era alla ricerca dei modi per sfruttare i brevetti del sonoro nel
cinema, recentemente licenziati col nome “RCA Photophone”, di proprietà
della società madre, la General Electric. Mentre le aziende
leader nella produzione cinematografica si stavano preparando a firmare
accordi in esclusiva con la Western Electric per la sua
tecnologia, RCA entrò essa stessa nel mondo del cinema. Nel mese
di gennaio, General Electric acquisì una considerevole
partecipazione nella Film Booking Offices of America (FBO), una
piccola casa di produzione e distribuzione di proprietà di Joseph P.
Kennedy, padre del futuro Presidente. In ottobre, attraverso una serie
di trasferimenti azionari, RCA si guadagnò il controllo della
società FBO e della catena di sale cinematografiche della
Keith-Albee-Orpheum; fondendosi fra loro in un unico conglomerato,
nacque così la Radio-Keith-Orpheum Corporation, con Sarnoff alla
guida del consiglio di amministrazione. Con la RKO e la Warner
Bros. (di lì a poco destinata a diventare Warner Bros.-First
National), raggiungendo Fox, Paramount e Loew’s/MGM
tra i maggiori protagonisti del settore, il “Big Five” che avrebbe
governato Hollywood - e quindi gran parte del cinema mondiale - nei
decenni a seguire, era adesso completato. |
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Una delle tecniche utilizzate per
sostenere lo studio system fu il “block
booking”, un sistema di vendita multipla di più film alle sale
cinematografiche in un unico stock.
Come singola unità – cinque film era lo standard di vendita praticato
per la maggior parte degli anni Quaranta – la formula prevedeva la
presenza di un solo lungometraggio particolarmente interessante, insieme
ad un mix di film di serie A di dubbia qualità e da altri film di serie
B come completamento dell’offerta. Il 4 maggio 1948, nel corso della
causa promossa dalla Federal Trade Commission congiuntamente al
Dipartimento di Giustizia, nota come “Paramount Case” intentata
contro tutti i “Big Five”, la Corte Suprema
degli Stati Uniti dichiarò fuorilegge proprio la pratica del “block
booking”. Ritenendo che questi
conglomerati industriali stessero effettivamente violando le norme
Antitrust, i giudici si astennero dall’impartire alle majors una
decisione definitiva vincolante per correggere questo difetto e il caso fu
rinviato al tribunale di grado inferiore da cui era pervenuto, il quale
suggerì che il divorzio – ovvero la completa separazione degli interessi
degli esercenti delle sale cinematografiche da quelli riguardanti
produttori e distributori – fosse la risposta ideale. I “Big Five”,
però, sembrarono apparentemente uniti nella loro determinazione a
combattere a colpi di procedimenti legali anche per anni, come avevano
già abilmente dimostrato, dopo tutto, quando il “Paramount Case” fu
originariamente presentato per la prima volta dalla giustizia federale,
il 20 luglio 1938. Tuttavia,
dietro le quinte alla RKO, la sentenza della Corte Suprema che da
un lato mise in agitazione i vertici dei conglomerati, dall’altro fu
vista come un’opportunità per lo studio. Nel corso dello stesse mese in
cui la decisione della Corte fu promulgata, l’eccentrico miliardario
Howard Hughes acquisì una partecipazione di controllo nella società.
Visto che la RKO controllava la più piccola catena di sale
cinematografiche fra le “Big Five”, Hughes ritenne che il divorzio delle
altre majors dai rispettivi circuiti potesse generare un effetto domino
“livellando” le differenze fra la RKO e gli studios maggiori,
aiutando la sua casa di produzione a competere finalmente in modo
paritario con i suoi concorrenti. Hughes segnalò la sua disponibilità al
governo federale per definire un decreto di autorizzazione che portasse
alla separazione delle sue attività cinematografiche. Secondo l’accordo,
Hughes avrebbe diviso il suo studio in due entità, RKO Pictures
Corporation e RKO Theatres Corporation, impegnandosi a cedere
la sua partecipazione in una o l’altra da una certa data. Il “via
libera” di Hughes alla separazione volontaria della RKO in due
comparti mise in discussione il teorema nel frattempo elaborato dagli
avvocati delle altre “Big Five”, impegnati a dimostrare che tali rotture
fossero irrealizzabili. Al di là del pronunciamento di maggio della
Corte Suprema, fu in realtà l’accordo
sottoscritto da Hughes col governo federale, firmato l’8 novembre 1948,
la vera campana a morto dell’epoca d’oro di Hollywood.
La Paramount fu tra le prime majors a capitolare, definendo un
analogo accordo nel febbraio successivo. Lo studio, che aveva combattuto
contro lo scorporo per così tanto tempo, divenne il primo a definire la
cessione dell’esercizio, conferendo il proprio circuito di sale
cinematografiche ad una società autonoma (United Paramount Theaters)
in anticipo sui tempi, il 31 dicembre 1949. L’epoca d’oro era finita.
Attraverso l’accordo di Hughes col governo federale, e quelli degli
altri studios che presto seguirono, lo studio system era destinato a
sopravvivere soltanto un mezzo decennio ancora. Lo studio fra le majors
che meglio sembrò adattarsi alla nuova cornice legislativa, traendone un
immediato vantaggio, fu la United Artists, il più piccolo;
guidato da un nuovo management dal 1951, terminando i vincoli
contrattuali per l’utilizzo degli impianti di produzione
Pickford-Fairbanks e sviluppando nuove relazioni con produttori
indipendenti (adesso più coinvolti in investimenti diretti), lo studio
forgiò un modello di business che Hollywood avrebbe sempre più emulato
negli anni a venire. Lo studio system intorno al quale l’industria era
stata organizzata per tre decenni, infine tramontò definitivamente nel
1954, quando la Loew’s tagliò ogni legame operativo con la
Metro-Goldwyn-Mayer.
La fuga in avanti di Hughes contribuì
a rompere lo schema dello studio system, ma (al di là degli auspici
iniziali) servì ben poco alla RKO. Gli effetti della sua
leadership dirompente – unita all’emorragia di pubblico attratto dalla
televisione che segnò profondamente tutta l’industria – furono evidenti
a tutti gli osservatori di Hollywood. Nel 1952 Hughes cercò di salvare
il suo investimento nella RKO cedendo il controllo dello studio
ad un cartello di investitori di Chicago senza alcun tipo di esperienza
cinematografica, ma l’operazione finanziaria fallì e l’anno successivo
dovette tornare in carica alla società, mentre la catena di sale
cinematografiche della RKO veniva finalmente venduta, come
prescritto. Sempre nel 1953, la compagnia General Tire and Rubber,
intenzionata ad espandere le attività della sua piccola divisione
broadcasting, chiese a Hughes la disponibilità della library RKO
da programmare in televisione. Così Hughes aumentò la propria
partecipazione azionaria acquisendo praticamente tutta la proprietà
della RKO entro il mese di dicembre del 1954 e l’estate seguente
formalizzò la vendita dell’intero studio alla General Tire and Rubber.
I nuovi proprietari fecero cassa rapidamente, rientrando in parte
dell’investimento iniziale, vendendo i diritti della library - che
finalmente avevano ottenuto - alla C&C Television Corp., una
società controllata di bevande, per la trasmissione televisiva (la
RKO avrebbe conservato solo i diritti di alcuni canali televisivi
che General Tire and Rubber aveva portato con sé). Secondo
l’accordo, i film vennero privati della loro identità RKO, prima
di essere inviati da C&C alle emittenti televisive locali; il
famoso logo di apertura, col suo globo e la torre radiofonica, fu
rimosso, così come qualsiasi altro marchio registrato dello studio.
Tornati a Hollywood, i nuovi proprietari della RKO incontrarono
poco successo nel campo dell’industria cinematografica ed entro il 1957
lo studio arrivò al capolinea, cessando la produzione e vendendo gli
studios, che furono acquistati dalla compagnia Desilu di Lucille
Ball e Desi Arnaz, che poi li rivendettero nel 1967 alla Paramount.
Proprio come la United Artists, lo studio adesso non aveva più
uno studio ma, a differenza della United Artists, detenendo a
malapena i diritti dei propri vecchi film, la nuova RKO non vide
alcun interesse nel continuare a produrne di nuovi. Così, nel 1959 la
società abbandonò completamente il business cinematografico. |
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